LA SPERIMENTAZIONE DELLA BASIQ IN UN CENTRO RESIDENZIALE PER DISABILI ADULTI

“Dalla pienezza esistenziale sgorgano le abilità funzionali “

a cura di
Simonetta Botti, responsabile Settore Disabilità e Psichiatria CIDAS
Natascia Cavallini, coordinatrice CSRR CIDAS Boschetti
Cecilia Moretti, educatrice e vice coordinatrice CSRR CIDAS Boschetti

INTRODUZIONE

L’approccio alla disabilità, o per meglio dire alla diversabilità, richiede un urgente ed epocale rinnovamento soprattutto per quanto viene declinato all’interno dei modelli organizzativi dei servizi. I servizi stessi ancora troppo legati a tipologie per così dire classiche e monoblocco, devono iniziare a com-prendere un approccio modulare e soprattutto flessibile in relazione ai bisogni che ogni individuo esprime all’interno di essi.

Come primo step il settore disabilità della cooperativa ha avviato una riflessione proprio sulle modalità di accoglienza e di lettura della persona con disabilità e sulla necessità di innovare il modello di approccio alla persona in primo luogo ascoltando e accogliendo i suoi bisogni e desideri. Questo comporta una rivoluzione copernicana che impone di uscire dall’operatorecentrismo di molti servizi nei quali la scansione dei tempi, delle giornate, delle attività è espressa in funzione delle esigenze degli operatori. Con il relativo slittamento verso due capisaldi che hanno protetto i servizi negli ultimi anni: “non si può fare “ perché la sicurezza non lo permette, non si può fare perché l’organizzazione non lo permette. Da ciò spesso è disceso un approccio alla persona con disabilità non come soggetto di bisogni, desideri, aspirazioni o necessità di sostegno, ma come oggetto di cure standardizzate e, quel che è peggio, centrate sull’unico caposaldo della salute-malattia.

In questo modo i servizi sono spesso diventati dei luoghi di cura, centrati sui bisogni assistenziali, sui protocolli standardizzati, sulla relazione alla persona come “paziente”, persona con disabilità, oggetto medicalizzato.

Su questa considerazione Cidas ha avviato un profondo ripensamento dell’approccio alle persone recuperando uno sguardo soprattutto centrato sulla percezione di sé , e in egual modo sulla percezione sociale dei familiari o del contesto, nella consapevolezza (Bandura) che la persona si costruisce a partire dalla ricchezza delle relazioni e che su queste di costruisce l’identità di ogni individuo , con i limiti, oggettivi e funzionali, ma anche e soprattutto con le risorse, troppo spesso dimenticate, e con le capacità di scegliere, desiderare, aspirare ad un progetto di vita.

In tal senso è stato importante interrogarsi sullo sguardo degli operatori: quando questo approccio è inquinato da bias percettivi, da filtri culturali o personali? Quanta capacità di osservazione e ascolto attivo si mette in campo nei servizi? L’esperienza è piena di eventi e confronti nei quali la percezione e la decodifica rispondevano più allo sguardo soggettivo del singolo operatore, a forzature di ogni tipo, a misunderstanding giganteschi. Con l’esito di mettere in campo strategie relazionali del tutto errate, disconfermanti o frustranti per la persona più fragile affidata.

Uniformare lo sguardo dunque è stato il primo step, e il secondo è stato assicurare che ogni operatore sapesse sospendere il giudizio (epochè) e mettersi in un atteggiamento pulito, primordiale , di ascolto e accoglienza dell’altro come persona , inteso come altro con disabilità e come care giver a cui è affidata la titolarità del progetto di vita.

Questa rivoluzione copernicana ha dato molte sorprese: scelte mai espresse, preferenze che si tenevano segrete, aspirazioni mai nemmeno immaginate. Con il risultato di far prendere alla persona coscienza di sé e del proprio esistere in senso heideggeriano.

Di seguito l’esperienza di un servizio residenziale che, procedendo come è opportuno per aggiustamenti e ipotesi di lavoro, ha delimitato un setting specifico per la somministrazione di una intervista alle persone con disabilità residenti.

LA SOMMINSITRAZIONE  DELL’INTERVISTA BASIQ IN UN CENTRO RESIDENZIALE DISABILI ADULTI

“Gli obiettivi prioritari della riabilitazione dell’adulto disabile devono essere il potenziamento e conseguimento degli aspetti collegati alle aree di qualità della vita (mod di Schalock) a partire dall’osservazione competente e non giudicante delle autonomie, dei  desideri, delle potenzialità e delle  zone di sviluppo prossimale”.

Partendo dall’assunto che l’esistenza delle persone disabili ha le stesse dominanti valoriali delle persone normodotate , abbiamo utilizzato lo strumento “ Basiq “  intervista diretta alla persona, proprio per indagare  quali sono i valori, i bisogni, i desideri e le aspettative  dei nostri utenti e tradurli in una programmazione delle attività che li rispecchi e li stimoli,  erogando i sostegni necessari.

Le risposte  ovvero i  sostegni devono essere altamente personalizzate e “ cucite sartorialmente”  dall’equipe multidisciplinare,  attraverso un’attenta e approfondita analisi

La prospettiva della qualità della vita viene rappresentata dall’articolazione di 8 domini

1) Benessere Fisico

2) Benessere Materiale

3) Benessere Emozionale

4) Autodeterminazione

5) Sviluppo Personale

6) Relazioni Interpersonali

7) Inclusione Sociale

8) Diritti ed Empowerment

Nello specifico per qualità della vita nell’area del benessere fisico si intende la condizione di buona salute di cui ciascuno gode, grazie ad una buona alimentazione e ad uno stile di vita sano, alle cure che riceve, alla possibilità di controllare il dolore e lo stress ed alla possibilità di riposarsi e rilassarsi adeguatamente;

nell’ambito del benessere emozionale questa si riferisce alla possibilità di sentirsi soddisfatti di se stessi e della propria vita, di apprezzare come positivo il proprio stato d’animo, di percepire un assetto gradevole del proprio rapporto con se stessi e con il mondo;

nell’ambito dell’autodeterminazione si intende la capacità e soddisfazione di fare delle scelte, di esprimere, ciascuno secondo le proprie capacità e mezzi comunicativi, le proprie preferenze, di usufruire delle opportunità che l’ambiente offre in base ai propri desideri ed alle proprie intenzionalità;

nel dominio dello sviluppo personale si riferisce alla soddisfazione e capacità di conquistare la propria autonomia in tutti i contesti e per l’intero arco di vita;

nell’ambito delle relazioni interpersonali si riferisce alla possibilità di godere dei contatti e dello scambio con i familiari, gli amici, le persone che si conoscono;

nell’ambito dell’inclusione sociale si riferisce alla possibilità di sentirsi parte di un gruppo e di una comunità, di non sentirsi esclusi o in altre parole di frequentare con soddisfazione il proprio ambiente di vita utilizzando in modo pieno le risorse e le possibilità che questo offre;

per qualità della vita nell’ambito dei diritti si intende infine la garanzia ed i benefici della tutela e della protezione attiva di cui ciascuno gode in quanto essere umano, grazie all’esistenza ed al rispetto di norme e leggi adeguate.

Per ciascuno dei domini sopra riportati sono stati quindi individuati una serie di indicatori, ovvero percezioni, comportamenti e condizioni che li definiscono dal punto di vista operazionale e la cui misurazione consente di valutare gli esiti personali

Come abbiamo operato, chi abbiamo scelto, quali sono gli obiettivi dell’intervista?

Siamo partiti da due importanti interrogativi: Quali sono le cose più importanti nella nostra vita? Quanto sono importanti?

Partendo dal presupposto , affatto scontato,  che TUTTE  le persone decidono quando , con chi e dove  condividere le informazioni personali che li riguardano , abbiamo ritenuto indispensabile prestare particolare attenzione a molteplici  fattori.

Un elemento fondamentale per svolgere l’intervista è la costruzione di un setting pensato. Ogni ospite vive  gli ambienti del CSRR in maniera differenziata. L’attenzione alle categorie spazio temporali e relazionali è fondamentale anzi è il punto di partenza. Attraverso la negoziazione di tali aspetti la persona con disabilità comprende di essere soggetto, inizia ad attivare la capacità di scelta e negoziazione che spesso non ha mai guardato, utilizzato , sospettato in se stesso/a. Sente di essere importante , di essere ascoltato e posto al centro. Per questo è fondamentale il rispetto delle regole del setting che di volta in volta vengono decise con l’intervistato.

  • Fattore tempo

Quando fare l’intervista? Il tempo da dedicare all’intervista deve essere riconoscibile, avere una cornice ed un perimetro molto chiaro all’interno del quale ogni ospite si senta valorizzato e ascoltato. Dare un tempo certo, un appuntamento fisso, poiché l’intervista è lunga e faticosa, è un aspetto da curare in modo particolare. Gli appuntamenti ,spesso molto attesi, devono esser rispettati e posti a cadenza con giusta frequenza , non troppo lontani tra loro. In questo modo la persona percepisce l’importanza che gli operatori danno ad un momento di ascolto dedicato, esclusivo, di cura. Anche attraverso questa attenzione la persona disabile introietta l’idea di avere un ruolo centrale e di essere percepito come importante.

Ogni persona con disabilità all’interno del CSRR , oltre alle attività strutturate,  ha   ritmi biologici e  abitudini  differenti  , conosciute   dall’equipe attraverso un’attenta osservazione quotidiana. Il rispetto di questi tempi  risulta fondamentale per individuare quando proporre l’intervista e  per quanto tempo , senza interrompere questi momenti personali e preziosi.

  • Fattore relazionale

Ad  ogni ospite  è stato chiesto di  individuare  all’interno dell’equipe educativa un’ interlocutore privilegiato cui confidare le proprie emozioni e sentimenti. Sulla scorta di questo presupposto si sono individuati per ciascuno   gli intervistatori “più idonei”.

Spesso la scelta è caduta tra gli operatori su persone “insospettate”, poco conosciute , magari nuovi operatori. Questo aspetto ha messo in luce anche la potenzialità di uno sguardo neutro, non inquinato da pregiudizi , elementi conosciuti o dati per scontati. Raccontarsi a persone che non si conoscono troppo attiva un ascolto più autentico, attivo ed in grado di cogliere molti aspetti nuovi.

Da parte dell’intervistato/a si registra uno stupore, uno straniamento rispetto ad un atteggiamento di messa al centro che non è consueto o a cui non si è mai stati abituati. E comincia a creare spazio per il racconto di sé, l’esplicitazione di sogni aspirazioni e bisogni talvolta molto quotidiani e molto realizzabili , come per esempio andare a consumare la colazione al bar in autonomia .

Nel setting è stato Individuato anche un osservatore non giudicante , che potesse dare una lettura globale delle dinamiche poiché dalle prime sperimentazioni è emersa la necessità di un controllo incrociato su ciò che si ascolta tale da rendere l’ascolto realmente rispondente a ciò che l’intervistato sta cercando di raccontare.

  • Fattore spaziale:  creare il setting dell’intervista personalizzato.

Tra gli utenti del CSRR si evidenziano percezioni  diversificate degli ambienti scelti per l’intervista  : chi predilige la propria stanza, chi invece dovendola condividere si è scelto un altro luogo dove cercare la propria intimità e il proprio benessere,  chi si sente “orgoglioso” di essere convocato nell’ufficio degli educatori , chi invece lo vive con  tensione emotiva…

Essenziale diventa quindi, attraverso la conoscenza della persona, scegliere insieme il setting in cui proporre l’intervista al fine di creare un ambiente favorevole al racconto di sè

E’ altrettanto  importante anche individuare un elemento personale gratificante (sigarette, caffè …) da condividere per creare maggiore predisposizione al dialogo.

In sostanza il momento ha uno spazio e un tempo bene delimitati, carico di significato sociale e gratificante in ogni aspetto. Questo mette in moto un senso positivo del sé come individuo nella sua pienezza psicofisica e non rimanda per nulla , come sopra si diceva, ad un senso medicalizzato del sé come oggetto di cure o come soggetto debole e  privo di risorse.

SPERIMENTAZIONE

Il primo ospite cui è stata proposta l’intervista da uno degli educatori dell’equipe  , è una ragazza con deficit uditivo e di articolazione del linguaggio nonché  con deficit cognitivo lieve.  L’ educatore ha posto le domande previste dall’intervista, cercando di tradurle in un linguaggio comprensibile e noto.  Un  osservatore  (in questo caso il Coordinatore ) ha potuto evidenziare alcune dinamiche:

  • E’ stato innanzitutto necessario spiegare che non si trattava di una valutazione , che non esistevano risposte giuste o sbagliate, ma che si trattava di un momento dedicato per conoscersi meglio. Questo ha abbassato immediatamente il livello di tensione e favorito la comunicazione.
  • L’utilizzo delle mascherine inibisce la comunicazione in entrata e in uscita in maniera molto pesante sia per l’intervistatore che per l’intervistato
  • per l’ospite è spesso difficile riflettere e esprimere liberamente i propri pensieri ( non sono abituati? Non glielo chiediamo spesso? )
  • l’educatore , che “conosce” da tempo l’ospite tende ad interpretare  e/o condizionare  le risposte sulla scorta della sue vere o presunte conoscenze sull’ospite
  • l’intervista  prevede molte domande  e quindi tempi molto dilatati,  l’ospite può  manifestare  stanchezza nel sostenerla, per cui è funzionale strutturarla in più giorni

E’ importante riconoscere se  si tratta di stanchezza dovuta alla concentrazione di cui abbisogna questo momento  o di    disinteresse e/o reticenza da parte dell’ospite

  • Alcune domande risultano particolarmente complesse e necessitano di una “traduzione preliminare” , anche precedente all’intervista per non affaticare l’ospite e dilatare ulteriormente i tempi dell’intervista . In particolare relativamente alla spiritualità è risultato più difficoltoso anche per l’intervistatore rendere comprensibili concetti sovente astratti cercando corrispondenze concrete nella  sua esperienza di vita

Dopo la prima intervista si è valutato di far condurre le interviste successive ad un educatore che conosceva da meno tempo gli ospiti, con la supervisione  di uno degli educatori più “anziani” .

QUAL E’ STATO IL CAMPIONE SCELTO?

All’interno del gruppo , composto da 19 adulti, di età media compresa tra i 18 e i 64 anni, affetti da patologie differenti (dalla sindrome di down , al ritardo cognitivo lieve, dalla tetraparesei spastica a patologi e degenerative) sono stati individuati gli ospiti con capacità comunicative  verbali e/o non verbali, pertanto capaci di  comunicare anche con ausili individualizzati le proprie preferenze.

N° Basiq somministrate 16 su 19 ospiti presenti in struttura.

L’equipe educativa ha quindi chiesto a ciascun ospite , tra quelli individuati, da chi desiderasse essere intervistato, definendo insieme  tempi e setting dell’intervista.

COSA È EMERSO?

Gli ospiti sono disabituati  se non intimoriti nell’ esprimere realmente i propri desideri , i propri interessi ,le proprie emozioni.

Quando si tratta di “preferenze”, tendenzialmente ci si interroga su cose materiali, legate alla concretezza della vita quotidiana, l’intervista invece richiede uno analisi    introspettiva che è   risultata molto faticosa.

Riflettere su se stessi richiede uno sforzo e quindi un allenamento continuo , cui dovremmo riabituarci e abituare gli ospiti, affinchè non si rimanga incatenati a quelle  routine passive che spengono energie, sedano capacità e interessi altri .

I più apparentemente soddisfatti sono risultati gli ospiti con ridotti ambiti esperienziali, vale a dire chi per la propria storia personale non ha potuto sperimentare  e quindi in un qualche modo si “rassegna a quanto proposto”

Al contrario i meno soddisfatti sono ospiti che hanno avuto una ricca vita esperienziale

Quante volte abbiamo descritto alcuni comportamenti   come “disfunzionali”? In realtà forse  non sono altro che la richiesta, disattesa e pertanto  divenuta pretesa, di autodeterminarsi ?

Gruppi di lavoro “storici” , e gruppi di ospiti che convivono da molti anni, tendono a condizionarsi vicendevolmente . Dall’analisi delle Basiq emerge infatti maniera lampante  come alcuni ospiti  tendano ad “assecondare” e non disattendere  le aspettative  degli operatori  modificando i comportamenti e mascherando i reali stati emotivi, per compiacere e/o non deludere l’operatore.

“Cerco di essere come tu mi vuoi  , ma io sono altro”

ALCUNI ESEMPI

Esempio 1

Una ospite autonoma si presta da sempre in attività di supporto agli ospiti meno abili.(accompagnamento a tavola per i pasti etc) L’equipe ha sempre ritenuto che fosse mossa da affetto nei confronti dei suoi conviventi  e si sentisse gratificata nel farlo. In realtà a domanda diretta “Ti piace fare questa cosa” risponde con decisione di “ No! Però gli operatori mi dicono che sono brava”

Esempio 2

Ospite autonoma , l’equipe educativa “sa” (?) che ha paura dell’ascensore, per cui le fa da sempre utilizzare le scale, per muoversi da un piano all’altro della struttura. Durante l’intervista emerge invece che quando deve spostarsi  autonomamente , in assenza degli operatori, utilizza l’ascensore  andandone molto orgogliosa, sottolineando come questa paura l’avesse già superata da tempo ma  assecondi   le convinzioni degli operatori.

Cosa abbiamo imparato

Le persone disabili evolvono, superano paure o ne maturano, crescono, richiedono nuove esperienze,  si innamorano, invecchiano. I loro bisogni, desideri, aspettative ,mutano  e con loro devono necessariamente mutare le organizzazioni che li accolgono.

Per un disabile, anche con discrete capacità  cognitive ,non è sempre facile mettere in ordine i propri pensieri e dare loro forma, specie quando gli viene chiesto cosa desidera per la propria vita, cosa si immagina del proprio futuro.

In alcuna intervistati  emerge prepotentemente  una tendenza a  trattenersi nella propria espressione autentica  quasi non “osando” esprimere pensieri, emozioni e desideri .

“Mi hanno sempre detto che non posso fare questa cosa ,  non posso indossare questo abbigliamento, non posso desiderare sessualmente qualcuno, non posso costruire una relazione affettiva … per cui mi vergogno a chiederlo e ancor prima a desiderarlo”

Per questa ragione, oltre la basiq , l’equipe educativa ha proposto ad uno degli ospiti di scrivere su una specie di diario , i propri pensieri e poi in un secondo momento, e solo se lo vorrà, condividerli con l’educatore prescelto .

Questo è il primo obiettivo che ci siamo posti come equipe Innestare  l’abitudine ad esprimere e al contempo Innestare l’abitudine ad un ascolto non condizionante e non giudicante.

Ambizioni , bisogni, sogni e desideri non possono restare inascoltati e laddove essi siano realmente irrealizzabili, è necessario  guidare l’ospite e in alcuni casi anche la famiglia  alla presa di consapevolezza .

In caso contrario, dovere dell’equipe è erogare i sostegni necessari al loro raggiungimento, in altre parole aiutare in un percorso verso la realizzazione di  un sé autentico.

Quindi qualità di vita è sinonimo di felicità?  No . La felicità è uno stato emozionale specifico e limitato e La qualità della vita è un percorso continuo verso la realizzazione di sé.

CONCLUSIONI: E’ CAMBIATA L’ORGANIZZAZIONE DEL CENTRO E IL GRUPPO OPERATIVO?

I dati raccolti dalle Basiq sono stati condivisi con tutta l’equipe operativa ( composta da educatori, personale Oss, fisioterapisti, infermieri)  che era stata coinvolta solo parzialmente .

Si è sviluppato un confronto franco e aperto ma anche molto difficile che ha portato alla crisi di tutte  le convinzioni riguardo al conoscenza e la gestione degli utenti.

Come tutte le crisi  è stata affrontata inizialmente con il tentativo di negazione , ma il dato oggettivo riportato dallo strumento Basiq  risultava  inconfutabile e pertanto imponeva una presa di consapevolezza e di responsabilità.

Convinzioni molto radicate sono state progressivamente spazzate via e al contempo tutta l’equipe si è rimessa in gioco , ripensando spazi e  tempi  di vita in funzione delle esigenze espresse .

Il nuovo approccio verso l’ospite  è divenuto  “  ti supporto nel tuo  progetto di vita “, spostandosi dall’ottica “Ti costruisco il progetto di vita”.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

 “Dal paradigma funzionale a quello esistenziale: cosa occorre cambiare nel modo di operare con la disabilità?”

Intervento di Roberto Franchini – Responsabile Area Strategia, sviluppo e formazione, Opera Don Orione – alla conferenza del progetto ProgettaMI

Simonetta Botti è tecnico di area psico pedagogica , si occupa di utenze fragili in particolare adulti e minori con disabilità e disturbi psichiatrici. Opera nell’ambito del management dei servizi con particolare riferimento ai modelli teorico metodologici e organizzativi e alla formazione dei gruppi di lavoro. Formatrice, è stata Docente a contrato presso la facoltà di Scienze dell’educazione Università di Bologna.